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Carl Rogers, Terapia Centrata sul Cliente

Carl Rogers, Terapia Centrata sul Cliente, La Meridiana, 2007

 

Introduzione di Alberto Zucconi

Essere umani è essere in relazione. La nostra struttura del sé emerge dalle complesse interazioni umane, in particolare nei primi anni di vita e di socializzazione, ma continua per tutta la nostra vita. Le relazioni ci contraddistinguono e quindi se i problemi umani sono problemi di relazione appare quasi ovvio che la relazione terapeutica sia il cruciale elemento del cambiamento psicoterapico. In tali termini la salute è vista come complesso processo relazionale. (Barrett-Lennard, 2005)

Quando Rogers iniziò a sviluppare e rendere pubbliche le sue teorie nell'ambito della psicoterapia il modello dominante, oggi comunemente denominato modello biomedico, nel quale psiche e soma sono rigorosamente separati e per il quale la responsabilità dei trattamenti è competenza della professione medica, condizionava pesantemente le professioni di aiuto. Eppure già nel 1939 il suo primo libro significativo – The Clinical Treatment of the Problem Child – conteneva le premesse del pensiero che si sarebbe sviluppato negli anni successivi, in particolare per quanto riguardava il ruolo del terapeuta (1). La convinzione, che in seguito si sarebbe evoluta nella enunciazione delle celebri tre condizioni, era che per tutti i tipi di terapia ciò che garantiva il successo fosse l'atteggiamento del terapeuta. Anche la necessità che la ricerca scientifica assumesse un ruolo significativo e potesse essere impiegata in modo efficace in psicoterapia, necessità che si tradurrà poi in una pratica in cui Rogers fu maestro, traspariva già allora nei suoi scritti malgrado non fosse apertamente condivisa nella opinione diffusa di quel periodo.

Eppure i fatti nel tempo sembrano aver confermato la validità delle ipotesi formulate da Carl Rogers. John Norcross, presidente della Task Force 29 (Relazioni Terapeutiche Empiricamente Supportate) dell’American Psychological Association, dichiara che

[...] abbiamo concordato che le caratteristiche tradizionali della relazione terapeutica – ad esempio l’alleanza nella terapia individuale e la coesione nella terapia di gruppo – e le condizioni facilitanti rogersiane – empatia, considerazione positiva e genuinità – avrebbero costituito gli elementi centrali”; e che “la relazione terapeutica determina in maniera consistente e sostanziale il risultato terapeutico indipendentemente dal tipo di trattamento utilizzato (2).

Secondo Michael Lambert

[...] in terapia i fattori comuni come l’empatia, il calore e la relazione terapeutica sono risultati più fortemente correlati con gli esiti rispetto agli interventi specializzati di trattamento [...] Decenni di ricerca indicano che la psicoterapia è un processo interpersonale nel quale una componente curativa essenziale è la natura della relazione terapeutica (3).

Rogers e il cambiamento di paradigma

Ormai anche la scienza medica è avviata ad assumere come paradigma di riferimento il modello bio-psico-sociale ove i determinanti della salute, relazioni complesse di una molteplicità di fattori biologici, psicologici e sociali, orientano le azioni di empowerment e secondo la quale assume valenza dominante l'assunto che gli individui sono capaci di tutelare e promuovere la loro salute e il loro benessere. In tal senso Carl Rogers, nel proporre un punto di vista innovativo fondato su un paradigma olistico-sistemico alternativo alla tradizionale prospettiva meccanicistico-riduzionista, sembra anticipare concetti che si ritrovano nel manifesto in cui fin dal 1986 l’Organizzazione Mondiale della Sanità delineava le strategie relative alla salute:

Per promozione della salute si intende il processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, l'individuo o il gruppo deve poter individuare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e modificare l'ambiente o adattarvisi. La salute è, pertanto, vista come una risorsa per la vita quotidiana, non come obiettivo di vita. La salute è dunque un concetto positivo che insiste sulle risorse sociali e personali oltre che sulle capacità fisiche. Di conseguenza, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani per aspirare al benessere.

Lo stesso cambiamento di accezione del termine salute, che dal concetto di mera assenza di malattie tende diventare sinonimo di sviluppo del potenziale, meta da raggiungere non più con delle cure ma per mezzo di azioni di empowerment o, più frequentemente in Rogers, sviluppo del potere personale, costituisce l'espressione della “deriva culturale” (la cui espressione più autorevole è costituita dal paradigma bio-psico-sociale e la sua applicazione la Promozione della Salute) che sembra confermare una convergenza sul piano dei costrutti sociali (ossia della costruzione sociale della realtà (4)), a dispetto del differenziale temporale, con gli assunti basici dell'Approccio Centrato sulla Persona. A tale proposito sottolineiamo che la Promozione della Salute è definita dall’OMS come un processo di empowerment  potenzialmente attuabile da individui, gruppi, comunità ed istituzioni al fine di promuovere in essi stessi i massimi livelli possibili di salute e benessere.

La salute mentale costituisce un aspetto primario del nuovo paradigma bio-psico-sociale (5) che considera la salute come un prodotto del contesto delle relazioni umane:

La salute viene creata e vissuta da tutti nella sfera della quotidianità: l'apprendimento, il lavoro, il gioco, l'amore. La salute si crea avendo cura di se stessi e degli altri, acquisendo la capacità di prendere decisioni e di assumere il controllo delle circostanze della vita, e facendo in modo che la società in cui si vive consenta la conquista della salute per tutti i suoi membri [...] Impegno, olismo ed ecologia sono temi essenziali per lo sviluppo di strategie per la Promozione della Salute. Per chi se ne occupa il principio ispiratore dovrà dunque essere che, in ogni fase della progettazione, della realizzazione e della valutazione della Promozione della Salute, uomini e donne devono agire insieme su un piano di assoluta parità (6).

Negli ultimi decenni le ricerche nel campo delle neuroscienze offrono conferme sempre più precise alle ipotesi di Carl Rogers. Nel sostegno alle teorie sui neuroni specchio, da cui discende il campo in rapida espansione delle neuroscienze sociali, assume un ruolo chiave il concetto di empatia. Questo, secondo John Cacioppo, direttore del Center for Cognitive and Social Neuroscience dell’Università di Chicago, si correla con ricerche che appaiono confermare come la qualità delle nostre relazioni e la realtà sociale influenzano il nostro cervello e la nostra fisiologia e viceversa (7).

Centrati sulla persona o focalizzati sul sintomo?

Il cambiamento di prospettiva rappresenta una trasformazione di grande portata che trova una fin troppo evidente corrispondenza nella definizione della caratteristiche di una professione di aiuto, in particolare della psicoterapia. Si tratta in altre parole di una scelta di campo che implica una riflessione sulla costruzione della relazione terapeutica. I professionisti si centrano sulla persona del cliente o pongono il loro sistema di riferimento in una tassonomia diagnostica potenzialmente reificante? Si focalizzano sulla salute o sulla malattia? La scelta non è senza conseguenze. Mentre nel secondo caso il professionista produce come effetto un rapporto di dipendenza, nel primo si propone come scopo primario la promozione dell’empowerment, dell’indipendenza e dell’autonomia del cliente.

Nel 1942 con la pubblicazione del suo terzo libro, Counseling and Psychotherapy (in italiano: Psicoterapia di Consultazione), Rogers segna una tappa storica nel campo della psicoterapia: è il primo psicoterapeuta che si assume il rischio di rendere pubblica per intero l’interazione con un cliente per la verifica scientifica delle proprie ipotesi. Ma in questa opera prende forma chiaramente il principio che ogni paradigma esplicita valori che ne determinano le politiche relazionali. È per questo motivo che egli giunge a rifiutare la definizione di paziente che sostituisce con quella di cliente. È l’esplicitazione formale di un cambiamento di prospettiva: "mettere la persona al centro" non è solo applicare buon senso e buon cuore, è anche e soprattutto fare buona scienza. Le ricerche ci mostrano che l’umanizzazione dei trattamenti (non solo in psicoterapia ma anche in medicina e in generale in tutte le relazioni di aiuto) produce migliori risultati, maggiori livelli di compliance, minore conflittualità, minore stress e minore sofferenza.

Ma in che modo le teorie di Carl Rogers hanno potuto ottenere per tanto tempo, come peraltro hanno ancora, un così ampio riconoscimento nei più diversi ambiti della società ed una così provocativa influenza sulla comunità scientifica, in particolare nella psicoterapia? Assieme a Migone possiamo perfino sostenere che “le problematiche poste dall'approccio rogersiano hanno sempre rappresentato una sfida per tutti gli altri approcci, compreso quello psicoanalitico” (8).

Un rivoluzionario silenzioso

Carl Rogers venne definito un rivoluzionario silenzioso (“a quiet revolutionary”) in un articolo scritto dal suo ex allievo e collega Richard Farson, presidente del Western Behavioral Science Institute di La Jolla in California, un “tink tank” che oltre a Carl Rogers ospitava in attività seminariali noti teorici quali Abraham Maslow (cofondatore assieme a lui dell'Associazione di Psicologia Umanistica). Quella definizione descriveva appropriatamente la vita e l’opera di un uomo capace di generare profondi cambiamenti nel campo della psicoterapia e, in generale, in quelli delle relazioni umane. In una indagine condotta nel 1982 dall’American Psychologist gli intervistati, che appartenevano a vari orientamenti, dichiararono che Rogers era stato lo psicologo che più aveva influenzato il loro lavoro. Nel 2006, più di un quarto di secolo dopo, questa ricerca, replicata dalla Columbia University con un finanziamento del National Istitute of Mental Health (NIMH), produsse gli stessi risultati (9).

Influenzamento e cambiamenti non avvengono per caso. Se solo ci limitiamo ad enumerare di Rogers i contributi più significativi, l'elenco lascia senza dubbio sconcertati per la sua vastità e ricchezza. Carl Rogers fu il primo a formulare un paradigma olistico/sistemico in psicoterapia, un campo questo tradizionalmente dominato, pur nelle sue varianti, dalla visione meccanicistico-riduzionista. In tal senso egli fu il primo psicoterapeuta a formulare un paradigma basato su ipotesi operazionalizzate e verificabili empiricamente e la cui epistemologia identifica la fonte della conoscenza nella fenomenologia del cliente e pertanto primo a formulare un approccio psicoterapico centrato sul processo di attualizzazione invece che sulla cura della patologia. Consapevole dei pericoli insiti nell'etichettamento delle diagnosi psicopatologiche, Rogers fu il primo a formulare una visione della natura umana basata sulla fiducia nella capacità innata di ogni individuo a tendere alla salute e all’autoregolazione. In aperta contraddizione con l’orientamento diffuso in tutti gli altri approcci a focalizzarsi sulla psicopatologia, Rogers fu anche primo nell'impiegare la ricerca in psicoterapia e a verificare le sue ipotesi attraverso lo studio delle verbalizzazioni (protocolli) dei trattamenti. Egli fu infatti il primo (nel 1942) ad audioregistrare e pubblicare interi colloqui di complete psicoterapie, fornendo così una messe di dati scientifici verificabili e allo stesso tempo rendendosi disponibile ad una valutazione pubblica e alle possibili critiche dei colleghi. Mostrò così, coraggiosamente, come realizzava momento per momento con i suoi utenti il setting terapeutico, e questo in un'epoca in cui le informazioni erano limitate agli appunti delle sedute stilati dai terapeuti stessi. In tal modo egli ha offerto un modello del ruolo integrato del clinico-ricercatore.

Anche in conseguenza di questo affrancamento dell'attività psicoterapica dall'aura di un mistero esoterico, Rogers fu anche il primo a incoraggiare negli psicoterapeuti l'acquisizione di una nuova consapevolezza, e cioè che disegnare e gestire un setting clinico costituisce una vera e propria costruzione sociale della realtà,
da cui inevitabilmente discendono, in modo consapevole o inconsapevole, le politiche relazionali in psicoterapia: come precedentemente accennato, si trattava di fare una scelta di campo, che egli esplicitò attraverso il rifiuto del termine "paziente" che riteneva contenesse concettualmente il ruolo passivizzante a cui il "cliente" in molti orientamenti psicoterapici era apertamente relegato.

Così Rogers si cimentò con i problemi e le sfide del suo tempo: prese aperta posizione contro le tendenze alla reificazione, alla spersonalizzazione, alla stigmatizzazione, alla discriminazione mentre nel contempo destinò energie allo studio e alla promozione delle relazioni interculturali, alla prevenzione e alla gestione dei conflitti intergruppali e internazionali. Assunse un ruolo leader nelle azioni politiche indirizzate al riconoscimento del diritto degli psicologi statunitensi a praticare la psicoterapia al pari dei medici.

Primo a teorizzare ed inserire nelle proprie formulazioni paradigmatiche fattori comuni in tutte le psicoterapie e condurre ricerche su tali ipotesi, Rogers ha influenzato in modo significativo altri approcci psicoterapeutici. I suoi contributi sono stati incorporati in molti altri approcci (anche se di sovente i loro esponenti non hanno riconosciuto a Rogers il loro debito scientifico ed intellettuale). Esempi sono il lavoro di Kohut, Ivey, la Solution Focused Therapy (SFT) di Berg and Steve de Shazer, il Counselling Motivazionale di Miller and Rollnick, il lavoro di Seligman in Positive Psychology. Altri importanti contributi scaturiti dal lavoro di Rogers sono quelli di Robert Karchuff, Gerard Egan, Allen Ivey, le Psicoterapie Esperienziali di Laura Perls, Leslie Greenberg, Robert Elliott e Jeanne Watson; il lavoro di Thomas Gordon con i suoi programmi di formazione denominati Genitori, Insegnati e Leader Efficaci; i contributi di Malcom Knowles e Andrè De Peretti nel campo pedagogico e dell’educazione degli adulti, quello di Pierre Vayer and Jean Le Boulch nell’educazione e riabilitazione psicomotoria. Rogers oltre alla psicoterapia ha influenzato i campi dell’assistenza sociale, dell’educazione, dello sviluppo delle risorse umane, della medicina centrata sul paziente e della promozione della salute e del benessere.

Rogers è anche stato un autore prolifico: pubblicò sedici libri e più di duecento articoli tradotti nelle lingue principali. Fu anche un innovatore nel comunicare le sue idee ed il suo lavoro non solo con la parola stampata ma attraverso centinaia di audioregistrazioni e perfino attraverso i filmati di sue sedute. Il film Journey into Self in cui Carl Roger e Richard Farson facilitano un gruppo d’incontro ove i partecipanti si confrontano e superano alcuni pregiudizi razziali, vinse l’Oscar per i documentari nel 1970. Ma soprattutto Rogers è stato per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e studiare e lavorare con lui un grande vero maestro: il suo insegnamento è stato sempre di praticare con l’esempio le sue ferme convinzioni: ogni individuo ha la capacità di indirizzare la propria vita in un modo che sia allo stesso tempo personalmente soddisfacente e socialmente costruttivo.

Il valore etico della relazione

Uno dei più importanti apporti di Rogers, e probabilmente il più disconosciuto, è l’idea che tutto l’impianto teorico-metodologico della terapia si regga sul valore etico della relazione (10). Peraltro le stesse selezione, organizzazione e presentazione del sapere non costituiscono un processo neutrale, privo d’implicazioni di valore; al contrario sono espressione di una visione del mondo sostenuta da un sistema economico oltre che politico e sociale (11). Rogers oltre cinquanta anni fa (12) anticipava il concetto secondo il quale il terapeuta nella pratica clinica, così come l’osservatore nella ricerca, è sempre parte in causa e non può sottrarsi dal manifestare un orientamento soggettivo (da un punto di vista fenomenologico potremmo parlare di costruzione soggettiva della realtà). Così ad esempio un terapeuta che assuma come criterio guida della relazione la cosiddetta “neutralità terapeuta” sta di per ciò stesso facendo una operazione riduttiva e desoggetivizzante (13).

È peraltro oggi fuori discussione il principio secondo il quale l’osservatore e gli strumenti di osservazione interagiscono con l'oggetto osservato e modificano la realtà fenomenica nella quale vanno a collocarsi. Esso consente di inquadrare con nitidezza, nell'opportuno contesto storico, le basi da cui si articolano le posizioni e le azioni di Rogers, il perché della sua battaglia tesa a voler trasformare le relazioni di aiuto in facilitazione del potenziale umano (si potrà così ad esempio comprendere l’importanza del cambiamento del ruolo dell’insegnante in quello di facilitatore dell’apprendimento). L'esperienza insegna che osservare una persona attraverso filtri e tassonomie psico-patologiche può produrre conseguenze iatrogene (14). Sempre più diffusamente si parla di medicina centrata sulla persona, medicina centrata sul paziente e l’accoglienza e la comunicazione sono riconosciuti come mezzo indispensabile per stabilire una relazione che faciliti la fiducia la collaborazione e la comprensione reciproca (15).

Rogers pensa che la piena realizzazione in quanto persona sia correlata con la salute mentale ed entrambe siano fondate su una predisposizione biologica che lui denomina “tendenza attualizzante”. I disturbi psichici sono proprio il risultato e la spia del malfunzionamento della personalità e compaiono in un individuo meno libero e meno padrone di sé. Secondo Rogers (16) concentrarsi sulla malattia invece che sulla salute, sottoporre le persone a diagnosi e cura, etichettarle come pazienti, costituisce un rischio: quello di perdere di vista la persona per concentrarsi sul sintomo dell’utente, passivizzarlo e in tal modo contraddire lo scopo del trattamento stesso; per converso la diagnosi più efficace si realizza mediante la capacità del terapeuta di essere profondamente con il cliente nel suo processo. Tale capacità, identificata da Rogers come "contatto profondo", si materializza in una relazione caratterizzata da rispetto, ascolto empatico e autenticità (congruenza): un cliente visto come agente attivo, dotato di un potenziale di autoregolazione e di salute che il terapeuta si impegna a facilitare e non a curare. La fiducia nel potenziale del cliente ha avuto numerose conferme (17). In una sintesi delle ricerche sui risultati delle psicoterapie Lambert affermava che il cliente è responsabile per almeno il 40% del successo terapeutico (18).

“Terapia Centrata sul Cliente”

Terapia Centrata sul Cliente è la prima opera significativa dei cosiddetti "anni di Chicago", forse gli anni più produttivi e significativi da un punto di vista teorico e clinico nonché di sviluppo personale. Sono gli anni dal 1945 al 1957, in cui Rogers si trasferì dalla Ohio State University all’Università di Chicago dove era stato chiamato come professore del Dipartimento di Psicologia e per creare il primo Counseling Center che presto divenne “uno dei centri più conosciuti della nazione e del mondo per la psicoterapia e la ricerca” (19).

Rogers portò con sé dall’Università dell’Ohio un buon numero dei suoi collaboratori tra cui Virginia Axline che avrebbe poco dopo pubblicato il noto libro sulla Play Therapy, forse la collega più significativa per Rogers. Da lei egli afferma di aver imparato il coraggio e la capacità di accettare pienamente e profondamente i clienti (20). Nel libro è chiaro il riferimento alle esperienze cliniche che Rogers realizzò assieme ai suoi colleghi. Esperienze quanto mai umerose: nel primo anno di attività clinica il Counselling Center erogò quattromila sedute psicoterapeutiche ed anni dopo il volume dei servizi erogati era salito a più di undicimila sedute annue. Se si tiene conto che la frequenza standard era di una seduta alla settimana si comprenderà la dimensione della richiesta a cui il servizio doveva far fronte (21).

A tal proposito questo libro rappresenta una significativa maturazione teorica rispetto al suo terzo libro del 1942 Counseling and Psychotherapy. Rogers inizia ad usare il termine terapia centrata sul cliente invece di counselling non direttivo, innovazione non meramente semantica ma che indica anche un cambiamento di prospettiva. Infatti nel Rogers dell’inizio il termine non direttivo era impiegato “in negativo” come opposizione alle modalità "direttive" predominanti al tempo. Ma l’aspetto innovativo è ben più complesso. È in questo libro che per la prima volta Rogers esplora le possibili applicazioni non cliniche della Terapia Centrata sul Cliente offrendo così la prima formulazione ben organizzata di quello che verrà conosciuto come Approccio Centrato sulla Persona.

Aspetti connessi con il Counselling Center

Gli anni di Chicago sono per Rogers ed il suo approccio forse i più fecondi sotto tutti gli aspetti. Qui egli sviluppa appieno le sue qualità di leader carismatico, capace di elettrizzare colleghi ed allievi e mai usando l’autorità ma l’autorevolezza che gli derivava dal suo modo di essere. Le sue teorie, che qui giungono ad una notevole maturazione, sono oggetto continuo di validazione, critica, ampliamento e revisione attraverso la pubblicazione del suo quinto libro, Psychotherapy and Personality Change, realizzato con la collaborazione di Rosalind Dymondnel 1954, ed il famoso documento su Le condizioni necessarie e sufficienti per una modificazione terapeutica della personalità pubblicato nel 1957. Queste pubblicazioni sono il risultato di un lavoro di gruppo nel quale Rogers includeva in modo democratico tutti i colleghi e gli allievi impegnati nel servizio di psicoterapia, nel condividere e discutere assieme le loro esperienze cliniche, elaborare ipotesi e validarle attraverso la ricerca. Lucia Lumbelli, nel suo saggio presente in questo libro, sottolinea come la qualità della relazione proposta da Rogers costituisca un contributo innovativo anche per i colloqui (interviste) che si propongono di ottenere delle condivisioni attendibili.

È interessante notare come la scelta della parola consultore invece di psicoterapeuta fatta nella traduzione italiana che risale alla prima edizione curata da Lucia Lumbelli, traducesse il termine anglosassone counselor (in americano; oggi in Italia e in Europa counsellor secondo la grafia britannica). L’impiego del termine, in luogo di psychotherapist, è rivelatore della condizione in cui versavano in quel periodo gli psicologi statunitensi: poiché ad essi non era permesso erogare servizi di psicoterapia, che costituivano prerogativa esclusiva della classe medica, gli psicologi ricorrevano all’espediente di chiamarla con il termine di counseling. Nel riproporre la stessa traduzione in questa nuova edizione abbiamo ritenuto opportuno modificare consultore con counsellor.

Eppure nel capitolo 7 Rogers scrive e teorizza sulla necessità di formazione per gli psicoterapeuti, fornendo una dettagliata descrizione del proprio modello formativo. Colpisce l’enfasi di Rogers nel sostenere la necessità di dare fiducia agli allievi (fiducia che egli stesso era solito dare) affinché apprendessero dall’esperienza grazie al clima facilitante caratterizzato dalla libertà di apprendere dalla esperienza diretta con i propri clienti e dal libero confronto d’idee e di esperienze con i colleghi dello staff: empowerment e responsabilizzazione invece che rigida disciplina ed ortodossia.

Peraltro Rogers stesso e le attività del Counselling Center dell’Università di Chicago furono oggetto di un duro attacco da parte del Dipartimento di Psichiatria. Carl Rogers fu uno degli propugnatori della battaglia, che di lì a poco avrebbe avuto successo, per la conquista del diritto degli psicologi di essere riconosciuti anche come psicoterapeuti. Del resto la situazione italiana, con grande ritardo rispetto a quella statunitense, vedrà solo nel 1989 riconosciuta per legge la professione di psicologo e regolata l’abilitazione di medici e psicologi all’erogazione della psicoterapia.

Le 19 proposizioni

Nelle 19 proposizioni enunciate nel capitolo 8 del libro (“Una teoria della personalità e del comportamento”) questi concetti sono accuratamente focalizzati all'interno di uno schema coerente che costituisce la base epistemologica del paradigma “centrato sulla persona”. Rogers, onesto e trasparente come al solito, enuncia la sua formulazione della teoria della personalità e del comportamento in 19 chiare proposizioni affermando: “Per dare a questo pensiero il massimo della chiarezza e consentire al lettore la scoperta di debolezze o incongruenze, adotteremo la forma di un elenco di proposizioni, seguite tutte da una breve spiegazione.”

Comprendere l’altro non attraverso una serie precostituita di categorie diagnostiche; comprendere l’altro aprendosi ad esso autenticamente, con profondo rispetto; comprendere empaticamente come l’altro esperisce (costruisce) il proprio rapporto con se stesso, gli altri, il mondo. Questo principio costituisce la pietra miliare dell’epistemologia della Psicoterapia Centrata sul Cliente e della sua pratica psicoterapeutica e ne è elemento discriminante: comprendere l’altro aprendosi alla sua esperienza oppure decifrarlo attraverso una serie di categorie diagnostiche standardizzate è impostare la relazione psicoterapica in modo diverso, avere relazioni diverse con diverse politiche relazionali, diverso uso del potere, diverso uso della responsabilità ed infine diversi risultati. In tal senso possono essere lette alcune preposizioni.

1)“Ogni persona vive in un mondo esperienziale in continua trasformazione di cui essa è il centro”

La conseguenza importante di questa formulazione è il riconoscimento che l’individuo è il miglior esperto di se stesso. Se il terapeuta vuole veramente entrare in contatto con il suo mondo, allora è importante che egli si apra a questa esperienza, che sia capace di porsi nei suoi confronti con la disposizione ad un ascolto rispettoso poiché le sue parole sono la simbolizzazione delle sue esperienze interiori; così facendo il terapeuta aiuterà il suo cliente ad essere più in contatto con la propria esperienza, e parti sempre maggiori di essa potranno pervenire al piano di coscienza.

2)“L’organismo reagisce al campo così come viene vissuto e percepito. Questo campo percettivo è per l’individuo la ‘realtà’”

Due persone che ricevono lo stesso stimolo possono percepire due realtà diametralmente opposte: per comprendere una persona non è sufficiente conoscere gli stimoli a cui essa viene sottoposta, ma anche come da essa vengono vissuti. Il comportamento del cliente è quindi in relazione con il suo modo di percepire se stesso e il mondo che lo circonda. Questo ha una implicazione nel processo di cambiamento: man mano che il terapeuta diviene capace di relazionarsi con il cliente in maniera facilitante il cliente apprende a relazionarsi con se stesso, gli altri e il mondo con maggiore funzionalità: nella terapia centrata sul cliente il processo di cambiamento si fonda sulla relazione che terapeuta e cliente riescono a co-creare.

7) “Il miglior punto di partenza per la comprensione del comportamento è quello del sistema interno di riferimento dell’individuo stesso”

La nostra capacità di comprendere l'altro è facilmente interferita dalle nostre scale di valori e dalla nostra visione del mondo; occorre poter vedere la realtà con gli occhi dell’altro per poterlo meglio comprendere. Rogers non crede che sia utile, per lo psicologo che vuole comprendere il proprio cliente, usare dei metodi conoscitivi che si basano su un sistema di riferimento esterno. Di qui la necessità della "comprensione empatica": Rogers sottolinea che nella sua esperienza clinica, quando il terapeuta è sinceramente interessato a comprendere il cliente e capace di stabilire con lui un clima di calore e fiducia, allora il cliente è facilitato ad aprirsi ad una comunicazione sempre più profonda e rivelatrice del suo mondo soggettivo.

Scrivere comunicando in prima persona 

Gli scritti di Rogers si caratterizzano anche per il suo stile trasparente di scrivere in prima persona: uno stile che contrasta con lo stile accademico che si esprime nell’impiego della terza persona, in tempi passati praticamente obbligatorio. È proprio con la prefazione di “Terapia Centrata sul Cliente” che Rogers inizia questa sua modalità comunicativa. Molti suoi lettori esprimeranno apprezzamento per questo stile, sentendo come se l’autore si rivolgesse personalmente ad ognuno di loro. Alcune righe con cui Rogers stesso introduce questo suo libro ne sono un esempio:

Questo libro tratta delle esperienze vissute in modo squisitamente personale da ciascuno di noi. Parla del cliente che siede nel mio studio lottando per essere se stesso ed è nello stesso tempo mortalmente spaventato di essere se stesso, del cliente che tenta di vedere la sua esperienza così com’è, desidera di essere quell’esperienza ed è terrorizzato nello stesso tempo da tale prospettiva. Questo libro parla di me mentre sto con questo singolo cliente, confrontandomi con lui, partecipando a quella sua lotta nel modo più profondo di cui io sia capace. Parla dei miei tentativi di percepire la sua esperienza vissuta e del significato e dell’aroma che questa esperienza ha per lui.

Note

1. Kirschenbaum, 1979.
2. Norcross, 2002.
3. Lambert e Barley, 2001.
4. Berger e Luckman, 1966.
5. Pelletier, 1994; Sobel, 1994.
6. OMS, Carta di Ottawa,1986.
7. Cacioppo e Berntson, 1992.
8. Migone, 2006.
9. Psychotherapy Networker, 2007.
10. Rogers, 1951; 1964a.
11. Burke, 2000.
12. Rogers, 1951, 1964b, 1965.
13. Vaccari e Zucconi, 2007.
14. Rogers, 1961; Rogers et al 1967; Kirk e Kutchins, 1992; McNamee e Gergen, 1992; Kutchins
e Kirk, 1997; Neimeyer e Raskin, 2000.
15. Zucconi, 2004.
16. Rogers, 1942.
17. Smith, Glass e Miller, 1980; Lambert, 1992; Bohart e Tallman, 1999.
18. Lambert, 1992; Lambert e Barley, 2001.
19. Kirschenbaum, 1979.
20. Ibidem.
21. Ibidem

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