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Intervista ad Alberto Zucconi

Conversazione su Carl Rogers e la psicoterapia

Giovedì 3 maggio 2007 si è svolta a Napoli, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la presentazione del libro Carl Rogers: un rivoluzionario silenzioso. Lo psicoterapeuta centrato sulla persona che rivoluzionò la psicologia (Carl Rogers e David Russell, edizioni La Meridiana, 2007).
Ad Alberto Zucconi - presidente dell’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP) e relatore della presentazione - il dott. Maurizio Mottola che ha curato l'intervista ha rivolto le seguenti domande.

Perché Carl Rogers è definibile un rivoluzionario silenzioso ?

Carl Rogers fu definito un rivoluzionario silenzioso in un articolo scritto dal suo ex allievo e collega Richard Farson, presidente del Western Behavioral Science Institute di La Jolla, California, un tink tank che oltre a Carl Rogers ha ospitato il lavoro seminariale di noti teorici quali Abraham Maslow allora impegnato a sviluppare la sua nota teoria dei bisogni. Trovo questa descrizione appropriata per descrivere la vita e l’opera di Carl Rogers, il quale generò profondi cambiamenti nei campi della psicoterapia e delle relazioni umane.

In una ricerca condotta nel 1982 dalla American Psychological Association (APA) i rispondenti, appartenenti ai vari orientamenti dichiararono che Rogers era stato lo psicologo che più aveva influenzato il loro lavoro. Nel 2006, più di un quarto di secolo dopo, questa ricerca è stata replicata con fondi del National Istitute of Mental Health (NIMH) che è una branca del Ministero della Salute statunitense con gli stessi risultati.

La ragione di tale impatto può essere compresa facilmente se consideriamo i numerosi contributi di Rogers. Egli è stato il primo a formulare un paradigma olistico/sistemico in psicoterapia, quando questo campo era contraddistinto da visioni meccanicistico-riduzioniste.

Il primo a formulare una visione della natura umana basata sulla fiducia delle sue innate capacità di tendere alla salute ed all’autoregolazione, quando tutti gli altri approcci erano focalizzati sulla psicopatologia, il primo psicoterapeuta a formulare delle ipotesi verificabili empiricamente, il primo a fare ricerca in psicoterapia, il primo (siamo nel 1942) a registrare con il magnetofono e pubblicare intere psicoterapie, fornendo così una messe di dati scientifici verificabili ed allo stesso tempo sottoponendosi allo scrutinio e possibili critiche dei colleghi, mostrando coraggiosamente cosa faceva momento per momento con i suoi utenti in un periodo ove le conoscenze di ciò che avveniva realmente nelle relazioni terapeutiche era limitato alle sole versioni fornite dagli psicoterapeuti stessi derivanti dagli appunti delle sedute da loro stilati.

Rogers fu anche il primo a promuovere la consapevolezza negli psicoterapeuti che disegnare e gestire i setting clinici costituiva una vera e propria costruzione sociale della realtà, da cui inevitabilmente si dipanavano in modo consapevole o inconsapevole le politiche relazionali in psicoterapia, per questo adottò il termine cliente rifiutando quello di paziente, che riteneva passivizzante, anticipando di quaranta anni il lavoro di Berger e Luckmann nella sociologia della conoscenza.

Per simili motivi mise in guardia la professione dagli eventuali pericoli di reificazione insiti nell’uso di etichette diagnostiche invece che accogliere e facilitare il cambiamento delle persone dei clienti con profondo rispetto, capacità di ascolto empatico ed autenticità e congruenza.

Rogers fu il dunque il primo a democratizzare la relazione terapeutica ed ad indicare che la qualità di tale relazione determina i risultati di ogni psicoterapia ed in tal modo divenendo il primo a teorizzare e poi fare ricerca su quella che diventerà in seguito la teoria dei fattori comuni nelle psicoterapie e tutte le ricerche che mostrano l’alleanza terapeutica essere la maggiore variabile predittiva del successo di ogni psicoterapia.

Degno di nota è il fatto che le componenti dell’alleanza sono le tre condizioni definite da Rogers come necessarie e sufficienti, accettazione, empatia e congruenza e le restanti l’accordo tra psicoterapeuta e cliente sugli obiettivi del trattamento e la capacità di ricucire gli eventuali strappi all’alleanza terapeutica, come mostra anche l’interessante lavoro della Task Force 29 dell’American Psychological Association, diretta da John Norcross e pubblicato come libro nel 2002.

Rogers fu il primo ad usare strategie di empowerement e responsabilizzazione con i clienti invece delle tradizionali strategie caratterizzate da diagnosi psicopatologiche, interpretazioni e prescrizioni provenienti da uno psicoterapeuta che assumeva il ruolo dell’esperto. Il tal modo Rogers anticipava l’avvento del modello bio-psico-sociale e le note strategie di promozione della salute.

Focalizzandosi sulla fenomenologia dei suoi clienti, comprendendo con rispetto ed empatia le loro modalità di costruire le loro esperienze e di rapportarsi con se stessi, gli altri ed il mondo Rogers anticipò i filosofi post moderni ed il lavoro degli psicoterapeuti costruzionisti e dei decostruzionisti, avvenuto negli anni ‘70 e ‘80 ben rappresentati nell’opera di Gergen. Rogers è stato uno dei padri fondatori della Psicologia Umanistica del movimento dei gruppi d’incontro, ha influenzato il campi dell’assistenza sociale, il mondo della scuola, il campo delle relazioni medico-paziente, l’educazione degli adulti, il management partecipativo eccetera.

Egli ha anticipato di molte decadi i contributi di Seligman e degli esponenti della Psicologia Positiva, ha influenzato direttamente altri approcci, che hanno incorporato aspetti fondamentali della sua teoria e della sua pratica, sovente non riconoscendo o minimizzando il suo apporto; ad esempio il lavoro di Kohut sull’empatia, suo collega all’Università di Chicago, il lavoro di Ivey, la Terapia Centrata sulle Soluzioni (STF) di Berg e Steve de Shaker.

Altri approcci sono scaturiti direttamente dal lavoro di Rogers: quello di Robert Carkhuff, quello di Gerard Egan, le psicoterapie esperienziali basate sul processo di Laura Perls, Les Grenberg, Robert Elliott eccetera, il lavoro del suo allievo Thomas Gordon su genitori, insegnanti, manager efficaci, l’opera di Malcom Knowles e di Andrè De Peretti nell’educazione degli adulti, le teorie di Pierre Vayer and Jean Le Boulch nella educazione e riabilitazione motoria. Ed è meglio che mi fermo qui perché l’elencazione potrebbe continuare a lungo.

Rogers ha avuto intuizioni poi confermate dalle neuroscienze quali l’importanza dell’empatia oggi ritenuta capacità adattiva negli umani o dalle ricerche sui neuroni specchio. Ha fornito alla professione un modello di clinico-ricercatore ancor oggi ammirato ma purtroppo non sufficientemente emulato.

Invece che rinchiudersi in una torre di avorio accademica si è prodigato intervenendo attivamente sui problemi del suo tempo tanto da essere nominato per il premio Nobel per la Pace per il suo lavoro di prevenzione e gestione dei conflitti: con cattolici e protestanti a Belfast, bianchi e neri in Sud Africa, esponenti del mondo occidentale e dell’est comunista, con i capi di stato e diplomatici delle nazioni del gruppo Contadora nell’America Centrale ai tempi del Nicaragua sandinista eccetera.

Rogers è stato molto attivo nelle politiche professionali, divenendo l’araldo dei diritti degli psicologi ad erogare psicoterapia quando la legge statunitense li relegava a semplici testisti.
Egli ha mostrato le sue doti di leadership professionale come presidente dell’American Psychological Association, dell’Academy of Psychotherapy.

Ecco perché ritengo che definire Carl Rogers un rivoluzionario silenzioso coglie la sostanza e le qualità di Carl Rogers come persona e professionista.
Ritengo che migliore espressione di questa non potesse essere coniata. Nei 17 anni in cui ho avuto con lui rapporti come maestro, collega e amico ho potuto constatare, al pari di tutte le altre persone che come me hanno avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, quanto Carl fosse una persona che quotidianamente incarnava coerentemente le proprie convinzioni e i propri valori.

Il Rogers che traspare dai suoi scritti, nei quali sottolinea l’importanza di una relazione improntata al rispetto profondo, alla comprensione empatica ed all’autenticità e congruenza, era la stessa persona che si rapportava autenticamente a noi colleghi ed allievi e nello stesso modo alla segretaria, ai familiari, alla gente comune come pure al capo di stato ed al diplomatico o al rettore dell’università. Sempre. Raro esempio di coerenza tra ciò che si fa e ciò in cui si crede e che si afferma.

Nella storia della psicoterapia come si situa l’approccio centrato sulla persona: quali le continuità e quali le innovazioni ?

Dato che l’impatto della Terapia Centrata sul Cliente risale con la pubblicazione del suo terzo libro al 1942 direi che per le ragioni a cui ho appena accennato Rogers si qualifichi certamente come un grande innovatore, in particolare per aver fatto transitare la psicoterapia dal campo della metafisica a quello della scienza, formulando ipotesi verificabili scientificamente e conducendo un grande numero di ricerche, per aver formulato il primo paradigma olistico/sistemico centrato sulla salute invece che sulla malattia, per aver democratizzato le relazioni psicoterapeutiche ed anticipato la teoria dei fattori comuni in psicoterapia, ipotizzando e conducendo ricerche che confermavano che la qualità della relazione terapeutica articolata nelle sue famose condizioni necessarie e sufficienti ( rispetto profondo, empatia e congruenza) erano tali non solo nel suo approccio ma in ogni forma di psicoterapia.

Da tenere presente che a quel tempo negli Stati Uniti tutti gli psicoterapeuti, Rogers incluso, ricevevano una formazione di approccio psicodinamico.
Rogers pur criticando la visione della natura umana e del cambiamento formulata da Freud non disconosce certo il suo grandissimo contributo alla psicoterapia moderna, né nega che il passato ci possa condizionare, ritiene però che come le persone costruiscono la loro esperienza di sé stessi, degli altri e del mondo sia più determinante, in altre parole Rogers ritiene che il passato è importante ma ancora maggiore importanza è come al presente visualizziamo il nostro futuro.

D’altro canto Rogers formulerà una critica alla visione della natura umana proposta dal comportamentismo, a suo avviso eccessivamente meccanicistico e riduzionistico, ma anche nei suoi due celebri pubblici dibattiti con Skinner negli anni ‘70 non disconoscerà certo il contributo della teoria dell’apprendimento, solo le sue applicazioni eccessivamente meccanicistiche.

Maurizio Mottola, Conversazione su Carl Rogers e la psicoterapia, I parte, Nuova Agenzia Radicale - 04/05/07

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