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L’importanza di una educazione centrata sulla persona nel 21° secolo

giulioammannato

Convegno nazionale ACP Rovereto 2024

“Dalla cura della persona alla cura dell’organizzazione, alla cura dell’ambiente.


Del prof. Dario Ianes

Trascrizione dell’intervento (autorizzata dall’autore)



Il mio è un punto di vista psico-pedagogico e nello specifico mi occupo di inclusione scolastica. Mi è piaciuto molto il discorso della professoressa che mi ha preceduto su empatia e autobiografia perché mi ha fatto venire in mente una ricerca, di alcuni anni fa, sugli insegnanti della scuola primaria che soffrono di dislessia. Dalla ricerca è emerso, cosa controintuitiva, che questi insegnanti sono molto più bravi degli altri ad insegnare a leggere e a scrivere ai bambini con dislessia; hanno una marcia in più, anzi due. Una è di tipo didattico e l’altra marcia è l’empatia.


Andando al tema dell’inclusione scolastica, cerchiamo di fare un passo avanti. Siamo abituati a trattare e parlare di inclusione principalmente in presenza di un problema. Dobbiamo invece rovesciare il problema e fare inclusione per tutti gli alunni e tutte le alunne.

La scrittrice Fred Vargas parla dell’infinita varietà delle differenze umane che io utilizzo come espediente generativo di un paradigma nuovo sul tema dell’inclusione, che non deve essere più collegato al disturbo, al problema, alla difficoltà, ma alle differenze.


E rispetto a questo tema, per movimentare il discorso, farò ora un esperimento e userò per questo, come ‘cavie’, due colleghe qui in seconda fila (una ha la maglia bianca e l’altra nera). Qual è il punto? Le due colleghe sono portatrici, ciascuna, di caratteristiche uniche: per cominciare, una ha i capelli lisci e una li ha ricci. Questa è una differenza.


Su questa differenza iniziamo a fare una narrazione…. “i capelli lisci sono meglio di quelli mossi, perché quelli mossi è difficile pettinarli, ….” E poi costruiamo anche le basi pseudoscientifiche di queste differenze e di quale differenza sia meglio dell’altra. Ad esempio possiamo dire che i capelli lisci e lineari individuano una linearità di pensiero; così non è per i capelli ricci. E ancora, che la linearità di pensiero corrisponde ad una intelligenza maggiore, ecc…. Nella narrazione pseudoscientifica stiamo costruendo la diversità che non è più la differenza. La macchina che crea valore dice che ha più valore la collega con i capelli lisci rispetto all’altra, perché la nostra narrazione ha costruito una diversità. E da qui, le possibili conseguenze anche nei comportamenti: chi non è valorizzato, viene isolato, bullizzato.


Racconto una storia tratta da Istangram; parla di un ragazzo che si è messo a correre (e non ha più smesso), perché la sua professoressa a scuola lo aveva chiamato ‘polpetta’. Questa insegnante è rappresentante ‘autorevole’ della macchina del valore, ne rappresenta un anello, un ingranaggio.


La differenza, attraverso la narrazione costruita sulla macchina del valore, diventa diversità facendo scattare il meccanismo dell’esclusione che isola, ghettizza, elimina.

Vi domando: noi insegnanti dove siamo rispetto a questa filiera: differenze 🡪 macchina del valore 🡪 diversità’? che ruolo abbiamo? Dovremmo essere un granello di sabbia che rallenta gli ingranaggi negativi, ma, meglio ancora, potremmo essere valorizzatori delle differenze. Invece la professoressa che dice ‘polpetta’ all’alunno non solo non lo valorizza, ma è complice di una macchina del disvalore.


La scuola tutta dovrebbe avere una postura pedagogica che acceleri e aumenti il contatto dei ragazzi con tante tante differenze umane.

E mi chiedo: il corpo docente è rappresentativo delle infinite varietà delle differenze umane? No, pensiamo al corpo docente della scuola dell’infanzia, rappresentato da solo donne. Se io fossi il ministro dell’istruzione mi porrei come primo obiettivo quello di aumentare l’eterogeneità del corpo docente, perché al momento non è assolutamente rappresentativo delle differenze (maschi/femmine, colori differenti, orientamenti differenti, disabilità/abilità, ecc.) . Bisogna dunque aumentare il tasso di contatto con le differenze, per aprire le menti.

Ma chiediamoci, ancora: la scuola si accorge quando una persona è emarginata, trascurata, isolata, quando è vittima di bullismo ? Questo non accade così spesso, bisogna prenderne coscienza, perché spesso si tende a minimizzare i comportamenti escludenti, emarginanti, a derubricarli come ‘ragazzate’ (“scherzano”, “anche io sono stato bullizzato da ragazzo”, “ma poi le cose si superano, anzi rinforzano”….).


Io sono affezionato, dunque, a questo cambio di paradigma, nello stimolare il ragionamento sulla scuola inclusiva, partendo non dalle disabilità ma dalle differenze, perché altrimenti la macchina del valore, come abbiamo visto, le fa diventare diversità. E quando si percepiscono queste diversità come negative, iniziano i comportamenti che isolano ed escludono chi viene considerato diverso, (“non ti invitiamo alla festa”...”non ti prestiamo gli appunti”..” ti lasciamo solo alla ricreazione”…).


Quindi è necessario allargare il paradigma di cura, di messa al centro di tutte le persone con le loro infine caratteristiche e differenze. Si tratta di un passaggio culturale di grande portata che, purtroppo, la scuola fa fatica a fare, perché ancora imbrigliata in vecchi concetti e stereotipi.

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